Nella Germania degli anni ’30, in cui Hitler è al potere e la società ha assunto una mentalità militare, un giovane professore viene messo al bando dai suoi studenti perché ha osato affermare che “i negri” sono esseri umani. Nonostante le ostilità riesce a mantenere il suo ruolo d’insegnante, fino a quando, durante un campeggio militare, uno dei suoi alunni viene ucciso. Dopo diverse indagini, accuse e controaccuse, si scoprirà il colpevole, ma il movente sarà la vera sorpresa. Combinando i tratti del romanzo noir, del giallo e di quello di formazione, il testo affronta il tema scottante del coraggio delle proprie azioni, scandagliando la vigliaccheria della razza umana nelle sue diverse forme. Attraverso la crisi di alcuni adolescenti, descritti come “pesci”, dagli occhi fissi e sgranati, vuoti, che “vivono in un paradiso di stupidità”, Horváth delinea la crisi della Germania nazista, prossima all’immane catastrofe della seconda guerra mondiale, in cui i giovani tedeschi appaiono come le vere vittime.
Il pubblico rimarrà sorpreso da questo testo denso, che sembra scritto oggi e sembra parlare di noi, raccontando di un sistema che plasma le menti giovani, controlla le azioni dei ragazzi e li vuole pigri, piatti, allineati e subordinati. La stessa umanità piccolo-borghese egoista e corrotta descritta da Horváth assomiglia molto alla nostra, entrambe terreno di coltura per un populismo dilagante, in cui la distanza tra le generazioni si è trasformata in un abisso, rendendo molto difficile la comunicazione. Agli occhi del professore gli alunni appaiono gelidi ingranaggi del sistema, ma la realtà in cui si trovano è ben più complessa: se in superficie sembrano facilmente separabili le vittime dai carnefici, proseguendo con la storia, questa si trasforma in un labirinto, in cui le colpe non sono più nettamente attribuibili.
Questo romanzo espressionista, in cui Horváth ha steso una prosa perfetta, fulminea, è portato in scena da Walter Le Moli con cruda e essenziale spietatezza, affidando all’intensa interpretazione di soli due attori la complessità di un racconto in cui le immagini simboliche squarciano la superficie, rivelando profondità inattese. Come spiega egli stesso: “Gioventù senza Dio è, per usare una definizione alla Wedekind o alla Rosa Valetti, un cabaret satanico: ha qualcosa d’inquietante, richiede di entrare in una sorta di “trip visionario”, raccontando la sparizione dell’individuo e la nascita della massa; chiunque può essere l’altro e tutto il mondo diventa una gerarchia. Horváth tratta in questo romanzo un tema che sarebbe esploso solo col processo di Norimberga: quello della responsabilità personale, per la quale non basta dire -ho eseguito gli ordini-, perché non tutti gli ordini vanno eseguiti” – e prosegue: “in questo testo la lingua di Horváth, magnifica e asciutta, dimostra le sue potenzialità cinematografiche; nella stessa scrittura è contenuta un’idea di montaggio. Infatti da Gioventù senza Dio sono stati tratti successivamente diversi film, l’ultimo dei quali è del 1991, del regista Michael Knof con Ulrich Mühe, il bravissimo e compianto protagonista de Le vite degli altri”.
GIOVENTÚ SENZA DIO
liberamente tratto dal romanzo di Ödön von Horváth
con Raffaele Esposito e Emanuele Vezzoli spazio scenico Gabriele Mayer costumi Laboratorio di Arte del Costume Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche del Teatro, Università IUAV di Venezia Fatma Barbafiera, Vittoria Gambaretto, Giada Gentile, Benedetta Risi, Anna Laura Penna tutor Gabriele Mayer, Stefano Collini (assistente) luci Claudio Coloretti regia Walter Le Moli