DICIASSETTE CAVALLINI

di Rafael Spregelburd

SPAZIO BIGNARDI
22 novembre / 10 dicembre

PRIMA ASSOLUTA

loghi rpf arena 2024

traduzione di Manuela Cherubini

con Roberto Abbati, Valentina Banci, Laura Cleri, Davide Gagliardini, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Pavel Zelinskiy

scene Alberto Favretto
costumi Giada Masi
luci Luca Bronzo

regia Rafael Spregelburd

Nuova produzione Fondazione Teatro Due

ph. Guillermo Turin Bootello

Abbiamo un bisogno viscerale, proteico, che ci continuino a raccontare storie. Storie che “riferiscono”, che “sostituiscono” il mondo. E ogni volta che il mondo ci riesce, esplode e si manifesta. Una drammaturgia che sfugga la tradizionale consequenzialità causa/effetto e che assuma le forme di causalità complessa che regolano la nostra vita è da sempre una delle caratteristiche non negoziabili del teatro di Rafael Spregelburd, autore e attore argentino tra i più importanti e frequentati del panorama internazionale contemporaneo. In un’ottica di rappresentazione, cioè di sostituzione di un tutto con una parte – di un Significato all’interno dell’universo del Senso, come probabilmente preferirebbe dire Spregelburd – il teatro, la finzione, diventa infatti veicolo, meccanismo, per guardare e tentare di comprendere la realtà in cui siamo immersi. La vita.

È da oltre un anno che il drammaturgo argentino porta avanti, sia lontano sia “ai piedi” del palcoscenico, un dialogo e un confronto constanti con gli attori e le attrici dell’ensemble di Fondazione Teatro Due che si tradurranno nel suo nuovo lavoro, Diciassette cavallini. Il lavoro si impernia sul mito di Cassandra che viene affrontato due tempi diametralmente opposti che l’autore ha definito apollineo e dionisiaco. Il tema è stato scelto proprio a partire dal confronto con gli attori che hanno espresso il desiderio, utopico già per sua stessa sostanza, di guardare al futuro (incerto) che ci si prospetta. La tragedia, una linea retta di eventi che corrono verso la distruzione, ineludibile, diventa in realtà la chiave di volta per accedere al presente, per indagare spazio e tempo nella loro realtà non lineare, per confrontarsi con tutti gli eventi catastrofici che collidono ogni giorno con l’apparente unidirezionalità della nostra vita. Catastrofe che in Spregelburd, rifacendosi alla cosiddetta Teoria del tutto o della complessità, non è sinonimo di rovina o distruzione, quanto dell’assenza di causa per effetti molto evidenti. Tutto ciò che sfugge alle leggi del senso comune e alla nostra capacità di predizione diventa in teatro, grazie al corpo degli attori, possibilità di percepire l’universo del Senso, tutto ciò che non può essere ricondotto ad un’idea preconcetta, che non può essere verbalizzato, che non può essere compreso. E la profetessa troiana, costretta a vedere in anticipo le catastrofi a venire e condannata a non essere creduta, si fa meccanismo per irradiare bellezza: amministrare tempo e spazio in modo consapevole, presente, complesso.

 

Mi ha sempre aiutato molto sapere chi fosse l’attore che avrebbe indossato l’abito che stavo cucendo. La mia immaginazione migliora quando la mia poetica “incrocia” quella di un particolare attore. Questa forma di scrittura, che è la forma ideale sotto molti aspetti (e che – ci sembra – usava anche Shakespeare per gli attori della sua compagnia) si è persa più volte nella storia del teatro perché i sistemi di potere della cultura hanno cercato di dare all’autore o al regista più peso poetico degli attori: il potere trova sempre più facile negoziare con un singolo individuo che con una collettività. La collettività è potente e imprevedibile. Agisce metonimicamente come popolo, mentre un singolo individuo è corruttibile, come un leader sindacale. Mi lascio permeare profondamente dagli elementi umani con cui ho intenzione di lavorare. Il teatro è un’arte profondamente collettiva, che guadagna densità quanto meno è piramidale, nelle sue operazioni di creazione. È difficile mettere per iscritto quel che accade sul palcoscenico. Un testo può essere anche una forma di appunto impreciso quando si tratta di operazioni dello spazio iscritte nel tempo. Tanto per cominciare, diciamo che si sente un racconto in off, una specie di voce guida che reinventa il mito di Cassandra da un punto di vista singolare. Una caratteristica dei miti classici è che non sono mai stati scritti definitivamente. E che non rispettano la coerenza cronologica. E dunque, questo spettacolo si basa un po’ sul fatto che la coerenza di questo racconto e gli accadimenti coreografici debbano coincidere al millimetro, al fine di ottenere che per ogni coincidenza, per ogni sfasamento intenzionale, si accresca il senso di ciò che si vede, che è fondamentalmente brutale e piuttosto ingenuo, come se a dei bambini fosse stata data una scatola di simboli coi quali costruire momenti.

Rafael Spregelburd