foto Marco Caselli Nirmal
Nel 2003 Teatro Festival Parma produceva Cara Professoressa, testo di una delle più interessanti scrittrici della “perestrojka” gorbaciovana Ljudmila Razumovskaja, diretto da Valerio Binasco. Lo spettacolo, interpretato da Maria Paiato e da Claudia Coli, Denis Fasolo, Aram Kian/Enzo Paci, Fulvio Pepe con le scene di Mario Panzuto, i costumi di Sandra Cardini e le luci di Pasquale Mari, ottenne uno straordinario successo di pubblico e di critica e fu insignito del Premio Ubu 2003 come migliore novità straniera. A Maria Paiato, interprete del ruolo principale della Professoressa, andò il Premio Eti – Olimpici del Teatro – come migliore attrice protagonista.
“Una cara, vecchia, bella storia drammatica – così descrisse il testo lo stesso regista – che si svolge in un paese senza nome della Russia di ieri, cioè quella comunista, una sera fredda e triste di primavera, quando quattro ragazzi sui vent’anni – gentili e demodé come i ragazzi italiani degli anni cinquanta – vanno in visita alla loro Cara Professoressa d’Università. Hanno saputo che è il suo compleanno, che è disperatamente sola, che la sua mamma è all’ospedale. E hanno anche saputo un’altra cosa…” La pièce è ambientata negli ultimi anni dell’impero sovietico, quando, nel disastro generale, soffiavano nel vento gli echi dei “Tempi Nuovi”, in onore dei quali i ragazzi speravano di vedere realizzati i loro sogni: i maschi volevano diventare gangsters, le femmine puttane d’alto bordo. Grazie alle televisioni euroamericane che finalmente arrivavano, questi erano i loro “Sogni d’Occidente”.
Ma quello che probabilmente è più importante in questo testo, come ha sottolineato ulteriormente Valerio Binasco, è che “l’autrice scrive una commedia piccola e gentile che vorrebbe osare una sfida critica non solo al comunismo, ma alla crudeltà di tutti i poteri del Mondo. La sfida, sia dal punto di vista critico che estetico, non viene nemmeno raccolta, è inutile che ci raccontiamo bugie. Ma c’è un piccolo segreto di bellezza… sento che nell’ingenuità dell’autrice e dei suoi personaggi, c’è qualcosa di struggente e di buono che se vogliamo “coglierlo”, dobbiamo un po’ “raccoglierci”… tirarci fuori per qualche manciata di minuti dal frastuono falsificante e spettacolarizzato di questi nostri giorni di fine impero, entrare in un teatro ed assistere a una cara vecchia bella storia, crudamente e semplicemente come fosse una specie di verità”.