L’importanza di un testo come La Locandiera, e più in generale la portata di un autore come Goldoni, è perfettamente riconoscibile nel testo che il conte Gozzi scrive per criticarlo. Il fatto che un contemporaneo di Goldoni scrivesse in questi termini dell’opera goldoniana dà l’esatto senso di quanto scalpore e quanti interrogativi ponesse il lavoro di questo autore.
Stiamo parlando di un discorso politico, certo, ma anche di una conseguente presa di posizione artistica. La questione politica è rintracciabile prima di tutto nel fatto che un nobile come Gozzi si stupisse che Carlo Goldoni potesse vivere del suo lavoro di scrittore. Per un appartenente alla nobiltà la scrittura era un diletto, un divertissement, al più una passione da coltivare lateralmente alla carriera (politica, giuridica, economica ecc.), e il fatto che Goldoni lavorasse per vari teatri e guadagnasse denaro con la sua professione di “poeta comico” non poteva passare inosservato. Quello che succede ne La Locandiera è esattamente la stessa cosa: Mirandolina appartiene a un ceto sociale che lavora, che sa fare, e del suo saper fare fa un’arte. Questo è in controtendenza con le maniere e i comportamenti dei nobili, il Marchese e il Conte (in misura minore il Cavaliere), i quali si comportano come loro conviene: non vogliono immischiarsi nelle questioni d’affari, vivono il denaro come una condizione necessaria e non connessa al concetto di guadagno, e conducono una vita distaccata dalle cose materiali, che ritengono volgari. Rappresentano insomma una classe dirigente in stile Ancient Regime. Il modo in cui la locandiera tratta con loro, con cui mischia questioni sentimentali e affari, “prosa e poesia”, è a loro del tutto estraneo e li destabilizza. Questa visione non solo fa gioco al meccanismo teatrale, ma rivela l’allegoria di una vita politica, quella veneziana, in forte cambiamento. Viene da dire che Goldoni stesso non vedrà questo cambiamento, e che a Venezia il passaggio di potere dalla nobiltà alla borghesia non avrà luogo, come invece succederà in Francia. Sembra il destino comune dei grandi autori, vedere in anticipo dei cambiamenti che non faranno in tempo a vedere realizzati.
Anche i meccanismi drammaturgici e la teatralità che ne deriva subiscono l’influsso e la spinta di questo rinnovamento artistico proposto da Goldoni: La Locandiera è un testo in cui il realismo si manifesta in tutta la sua potenza, contrapponendosi all’Arcadia a cui l’arte precedente si rifaceva. Mirandolina parla d’amore mentre sbriga le faccende, ha una precisa percezione del denaro: tutti segni di uno scatto in avanti del linguaggio (non solo teatrale) che è tipico dei grandi sconvolgimenti storici e politici, in pratica dei cambiamenti di epoca. Si riconosce nel teatro goldoniano ciò che Longhi fa in pittura: l’affresco di una società fatta di intellettuali commedianti, nobili anacronistici e di una classe borghese in procinto di scavalcare la barriera. L’opera di Goldoni è contemporaneamente morale e politica, e ricerca nella verità la sua ragion d’essere. Le istanze artistiche si piegano a questa volontà: l’autore prende i meccanismi drammaturgici e scenici e li trasporta in un’epoca successiva, li rende moderni, li riforma.
Il testo funziona benissimo anche e soprattutto teatralmente: la convenzione teatrale viene rispettata, la commedia vive di una potenza e di un registro recitativo efficacissimo, e persiste l’unità aristotelica. Persino l’idea di ambientare La Locandiera a Firenze è un meccanismo classico di straniamento artistico, già noto nel teatro greco e in Shakespeare, usato anche per sfuggire alla censura. La grandezza di Goldoni sta anche in questo: sa essere profondamente teatrale e divertente (ricordiamo che il teatro veneziano era finanziato dai nobili ma viveva della vendita dei biglietti, ed era quindi fortemente influenzato dalla ricezione del pubblico), ma sa anche proporre tanti livelli di lettura, dai più politici a quelli legati alla riforma artistica. Ciò che fa Goldoni è gettare uno sguardo lucido sul suo tempo, nonché forse sul nostro.