La straordinaria sensibilità di Bailly aveva talmente colto lo spirito del luogo e delle opere presenti, che, quando ho assistito alla prima rappresentazione ho provato, oltre che piacere e soddisfazione, anche un intensa commozione; i protagonisti delle tele avevano voce per raccontare la loro storia, e c’erano anche loro, qui gli ineffabili fantasmi, e c’eravamo noi divenuti attori per partecipare dal di dentro alla vita intima della villa e delle opere nel momento magico dell’assenza; quei fuochi sparsi diventavano anche l’emblema dell’ accensione di quella scintilla tanto amata dagli artisti metafisici e surrealisti che ogni tanto, fortunatamente, ci offre la possibilità di passare dalla quotidianità ad un’altra e straniante ed esaltante “altra dimensione”.
(Simona Tosini Pizzetti, dal libretto dello spettacolo)
Nel 1994 Teatro Festival Parma ha commissionato al filosofo, scrittore, poeta e drammaturgo Jean-Christophe Bailly, esperto in creazioni presentate al di fuori delle tradizioni teatrali, la scrittura di un testo da mettere in scena all’interno della Fondazione Magnani Rocca. Nacque così Fuochi sparsi, uno spettacolo teatrale diretto da Gilberte Tsaï concepito come una visita guidata clandestina al museo Magnani Rocca. Lo scrittore ha immaginato che in diverse parti del mondo gruppi di persone si radunassero fuori dai musei per entrarvi dopo l’orario di chiusura ufficiale sotto la guida di due custodi-fattori. In un’atmosfera di silenzio e sospensione, gli spettatori sono stati guidati all’interno degli ambienti della Fondazione dove l’esposizione dei quadri ha costituito l’insolito trait d’union per un percorso artistico-teatrale. Nella semioscurità sono stati svelati i particolari de La Famiglia dell’Infante di Spagna di Goya e delle nature morte di Morandi passando per le grisailles del Tiepolo e la Madonna col bambino di Filippo Lippi, rompendo il buio con la luce di una pila. Il tutto nell’arco di un’ora, dal crepuscolo alla sera, lasso di tempo in cui gli spettatori poterono apprezzare aspetti dei dipinti generalmente più “nascosti”.
Nel 2005 Fuochi Sparsi è stato riproposto nel “Trittico Teatrale nei luoghi d’arte” realizzato nell’ambito di Reggio Parma Festival e prodotto da Fondazione Teatro Due con la collaborazione dell’allora Sovrintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Etnoantropologico di Parma e Piacenza, Fondazione Magnani Rocca e Biblioteca Palatina, Sezione Musicale e Museo Bodoniano di Parma. Il progetto, ideato dal direttore artistico di Teatro Festival Parma Giorgio Gennari, muoveva dall’intento di generare una nuova integrazione fra alcuni luoghi del patrimonio artistico cittadino e l’evento teatrale, abbandonando l’utilizzo esclusivamente scenografico e decorativo di questi spazi di indiscussa bellezza per farne l’oggetto vero e proprio del testo teatrale. Teatro Farnese, Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano e Biblioteca Palatina di Parma divennero quindi i protagonisti rispettivamente di Villeggiatura, Fuochi Sparsi e Una notte in Biblioteca, tutti con la drammaturgia di Jean-Christophe Bailly e la regia di Gilberte Tsaï.
Alcune riflessioni di Jean-Christophe Bailly sul Teatro Farnese
di Jean-Christophe Bailly
Benché immenso e stupefacente il Teatro Farnese è invisibile dall’esterno. Si può visitare Parma senza vederlo né sospettarne la presenza. Questo è il primo segno della sua singolarità: un teatro nascosto in una vertiginosa breccia all’interno della massa rugosa e austera dei palazzo della Pilotta. Vi si accede da una scala monumentale e da un ampio vestibolo, che serve anche la Biblioteca Palatina (ugualmente nascosta). Il portale d’ingresso, sovrastato da un’alta corona a baldacchino, con il suo colore annuncia il teatro, benché la porta in sé ricordi piuttosto una semplice porta di granaio. Il contrasto tra l’ingresso in gattaiola (una piccola porta inserita in uno dei due battenti) e l’immensità nella quale immette è violento. Al primo colpo d’occhio non si vede che questa immensità in altezza e in profondità. Poi ci si abitua, si cerca di abituarsi, si percepiscono i legami con altri luoghi, con altri teatri, si comprende che si è dentro a un edificio prodigioso, sobrio, elegante, ma anche e soprattutto dentro un’idea. l’idea grandiosa e folle di un teatro-mondo così come il Rinascimento e il Classicismo la ricavano da un fondo antico, vitruviano, edificandola secondo le leggi della prospettiva che faceva convergere tutte le linee visuali verso l’atto teatrale concepito come il foyer di una scatola di apparizioni. Ma nel Farnese il contenitore è tale che vale esso stesso come apparizione: con la grande e morbida U delle gradinate che salgono in ripida pendenza sino al doppio colonnato in serliana, con le scale, le statue equestri monumentali che inquadrano la scena, con le capriate potenti e nervose e soprattutto con il legno, materiale dominante e quasi esclusivo, ora rosso ora dorato, che assomiglia al colore dei pane appena uscito dal forno, come se l’idea di un teatro-mondo fosse a casa sua nel calore di queste pareti e di questi pilastri veduti dalle foreste. Di teatri di legno, per la maggior parte distrutti da un incendio, ce ne sono molti, ma nessuno così vasto. Il Teatro Farnese, restaurato dopo i terribili bombardamenti dei maggio del 1944, mantiene sempre la sua materia, cioè una vibrazione terrestre e gli apparati di un perpetuo tramonto.
L’idea è là. Si è all’interno di un gigantesco strumento, nella sua anima e alla fine dei giorno, tra i bagliori che precedono la notte che è poi l’ora dei teatro. Per le dimensioni e la fragilità il Teatro Farnese non si offre facilmente all’uso e si potrebbe dire che l’efficacia e la violenza con le quali dà corpo all’idea dei teatro sono sufficienti a loro stesse. Non si può dunque che sognare quando vi si trovano degli spettacoli che non occupano soltanto lo spazio (come fanno i concerti che vi si danno) ma recitando e utilizzando la scena coinvolgono la sala, le gradinate e le gallerie con gli spettatori erranti e stupefatti. Non lo spazio assoluto della rappresentazione classica, ma una serie di esplosioni e di figure che sorgono qui e là nello spazio intatto, ripudiando per prima cosa qualsiasi scena: come delle effigi o degli spettri con dei portavoce nelle altezze e nelle lontananze, dietro le statue e le colonne, in una specie di navigazione a vista nella struttura stessa dell’idea, una sorta di piegatura della parola e dei luogo con musiche di tenebra e di gioia, con dei silenzi che fanno paura. Salvato dal fuoco e restituito dalla sua rovina, il Teatro Farnese sembra a volte misteriosamente intatto e vuoto. Se è il rudere di qualcosa lo è senza dubbio di un lusso che noi non possiamo più conoscere, ma è anche un immenso campo di forze in cui la monumentalità forma uno scrigno intorno a un segreto che sarebbe bello veder vibrare. Osare e appoggiare l’archetto su un tale strumento prodigioso per farlo risuonare, questa sarebbe una straordinaria sfida, una formidabile avventura per l’intelletto come per la memoria.