I PERSIANI

di Eschilo
traduzione di
Giorgio Ieranò

Elisabetta Pozzi – Atossa

Alberto Mancioppi – Ombra di Dario

Raffaele Esposito – Serse

Ivan Zerbinati  Messaggero

Davide Gagliardini, Michele Lisi, Dino Lopardo, Nicola Nicchi, Gian Marco Pellecchia, Carlo SellaCoro


suono e musica
 Daniele D’Angelo
scene Matteo Patrucco
costumi Ilaria Ariemme
luci Luca Bronzo
movimenti Marta Ciappina

assistente alla regia Laura Cleri

regia Andrea Chiodi

produzione Fondazione Teatro Due

Spazio Grande
dal 3 all’11 febbraio 2018

La forza della più antica tragedia greca conservata in modo integrale continua a deflagrare a quasi 2600 anni dalla sua prima rappresentazione. Con lo sguardo di un reporter di guerra ante litteram, Eschilo ci offre uno sguardo inedito sul dramma della disfatta dell’armata di Serse a Salamina. La Grecia ha trionfato; il nemico di sempre, l’impero achemenide, è stato valorosamente respinto e Atene si appresta a porsi come garante di libertà e di eguaglianza. Ma ciò che vediamo è già accaduto, non meno di otto anni prima. Poi qualcosa è cambiato. Sbalordendo la memoria del trionfo del popolo ateniese, ancora trionfante per i successi militari e per il valore degli uomini che combatterono contro Serse, Eschilo, soldato egli stesso contro i Persiani, ricorda ai Greci di che tempra erano quando poterono sconfiggere il mastodontico esercito nemico: era stato lo spirito di appartenenza che li univa a portarli alla vittoria. Ecco l’idea di capovolgere il piano drammaturgico: la reggia di Susa, l’angoscia dei vecchi sudditi di Serse in attesa di notizie dal fronte, i sogni della regina Atossa, madre di Serse e moglie di Dario. Dubbi tragicamente confermati da un messaggero, che annuncia la sconfitta totale dell’armata da parte di coloro che hanno fama di “non essere schiavi a nessuno, di non obbedire a nessuno”. È stata la tracotanza del giovane re, Serse, a portare il suo popolo alla rovina. La Storia prende il posto del Mito, fatto unico nella produzione tragica greca pervenutaci, per scuotere gli animi e ammonire da un lato chi si crede pari a un dio, dall’altro chi dimentica i suoi valori per crogiolarsi in una pace fragilissima. E gli Ateniesi piansero, assistendo alla tragedia e non accorgendosi, tracotanti anche loro, delle ombre della guerra del Peloponneso che si addensavano sull’età dell’oro di Pericle.