Nel mese di gennaio 2017 si alterneranno le recite della nuova produzione Il Malato immaginario di Molière e de La Locandiera di Carlo Goldoni, che ha debuttato a novembre 2015; due dei titoli del vasto repertorio dell’Ensemble Attori di Fondazione Teatro Due.

Il malato immaginario di Molière e La locandiera di Goldoni sono tradizionalmente messi in scena come farse, giochi senza un doppio fondo, storie prive di profondità.

Da uno studio attento dei due grandi drammaturghi, si evidenzia che il portato di questi testi è immensamente più grande, non solo nei termini del rinnovamento artistico che rappresentano, ma anche per gli innumerevoli piani di lettura che offrono e le conseguenti potenzialità sceniche che serbano.
Due grandissimi uomini di teatro; attore, drammaturgo e impresario Molière, drammaturgo, scrittore e librettista Goldoni, sono innanzitutto entrambi dei riformatori che partono dalla Commedia all’italiana, la Commedia dell’Arte. Nella seconda metà del ‘600 Molière inventa il realismo e trasforma per sempre il teatro del suo tempo sostituendo l’universo arcadico di ninfe, pastori e dei che popolavano le commedie, con gli esponenti della classe borghese a lui contemporanei ossia dottori, notai, tartufi e misantropi. Circa ottant’anni più tardi, partendo a sua volta dalla Commedia dell’Arte, Carlo Goldoni codifica le innovazioni del francese, inserisce le azioni nel tessuto sociale della classe borghese, elimina gradatamente le maschere conferendo loro un’individualità sempre più marcata e trasformando la Commedia dell’Arte in Commedia di Carattere.
La nobiltà e la borghesia sono per entrambi gli autori interlocutori e bersaglio; se Molière, commediografo alla corte di Re Luigi XIV, nel ridicolizzare i borghesi per il divertimento dei nobili sottende la fiducia nel futuro della nuova classe sociale, Carlo Goldoni prevede e rivela l’ascesa della borghesia con opere in controtendenza rispetto ai gusti nobiliari, ragione questa che gli varrà le aspre critiche delle classi titolate, già indignate dal suo lavoro di poeta comico, inconcepibile per una nobiltà che considerava la scrittura un diletto.
Occorre inoltre ricordare che le storie di entrambi gli autori dovevano sì creare divertimento, far sorridere, ma senza scadere in facili buffonerie: la vita mondana, sia alla corte francese del ‘600 che nei salotti veneziani del ‘700 – informata ai testi rinascimentali quali Il Cortegiano di Baldassare Castiglione e Il Galateo di Monsignor Della Casa – si conformava a esigenti principi morali ed estetici che imponevano di non scadere nel ridicolo. Per avere successo la strategia essenziale era la compiacenza, quell’arte difficile e sempre in bilico tra il rispetto delle ragioni altrui e la doppiezza morale, che entra giocoforza anche nelle scritture sceniche.
Per questo motivo è forse interessante immaginare che i testi dei due autori contengano qualcosa di non scritto che è possibile ricercare e rivelare attraverso il lavoro degli attori.
Senza nulla togliere alla tradizione che mette in scena Il Malato immaginario come una farsa, è legittimo interrogarsi su altri significati di quest’opera, in cui è quasi impossibile separare la creazione artistica dal vissuto di Molière e che sembra essere una summa, un testamento, quasi un collage di tutti i suoi testi precedenti.
Allo stesso modo ne La locandiera di Goldoni appare evidente che l’oggetto di cui si sta parlando non è un albergo di Firenze, città in cui è ambientata la commedia secondo il meccanismo classico di straniamento artistico. La locanda rappresenta probabilmente Venezia, in un’allegoria che racconta i forti cambiamenti in atto, l’inarrestabile decadenza della Serenissima.
Sia ne il Malato immaginario che ne La locandiera, Molière e Goldoni si fanno altissimi cantori della chiusura, della fine di due epoche, creando e seguendo il filo di quella invenzione della realtà che porterà, a due secoli di distanza, dopo alla nascita del realismo di Cechov.
Nel gioco di specchi di questi grandi autori è sembrato interessante affrontare due dei loro testi più famosi andando alla ricerca degli strati più nascosti, senza assecondare la tradizione che, collocandoli in modo univoco, ha inevitabilmente depositato incrostazioni interpretative. Non si tratta di comportamento filologico, ma – nella ricerca della comprensione della volontà degli autori nel preciso momento sociale e storico in cui hanno scritto queste commedie – del tentativo di riattivarne i meccanismi originari.
Trattandosi di testi destinati a specifiche compagnie di attori, con caratteri precisi, per poter compiere questa operazione di “svelamento” è stato necessario lavorare in continuità con una compagnia stabile. L’Ensemble Attori di Fondazione Teatro Due, da tempo impegnato nella creazione e presentazione di un repertorio (unico esempio in Italia), ha affrontato sotto la guida di Walter Le Moli prima La Locandiera e poi Il malato immaginario e in questi due mondi, paralleli ma diversi, ha messo alla prova e valorizzato le proprie forze, rivelandosi un potente propulsore di ricerca che ci auguriamo possa contribuire all’affiorare di significati nascosti.