Cari amici,
in questi giorni in cui siamo tutti in casa tra preoccupazioni personali e familiari, si aggiungono anche i pensieri sul futuro del teatro, dello spettacolo e, in una parola, della cultura in questo Paese.
Perdonatemi, ma non voglio girarci intorno: la situazione è molto grave oggi, quando tutti i luoghi sono chiusi. Ma sarà gravissima domani, quando sarà consentito “ripartire”.
Nessuno è in grado di sapere come andranno le cose, ma sappiamo che molto sarà diverso e almeno alcune ipotesi possono essere formulate.
E non sono ipotesi di segno positivo.
Ci sarà ancora voglia di cultura, di spettacolo, e in che misura?
Come si farà spettacolo e come si parteciperà alle rappresentazioni?
Siamo l’attività culturale che più di altre vivrà un paradosso: ci collocheremo in una società dove saranno d’obbligo le misure di “distanziamento sociale”, mentre il teatro – ma anche l’opera, la musica, la danza – sono i luoghi che nascono “per” il sociale; per l’avvicinamento, la partecipazione sociale e non per il distanziamento.
Non voglio fare un lungo discorso sulle prospettive, ma alcune cose mi sembrano evidenti.
La prima: quale che sarà la “voglia” del pubblico di tornare a teatro o nelle sale da concerti e altri luoghi di spettacolo, aspettiamoci meno pubblico (per scarsa voglia o per diffidenza, per insofferenza per le misure, più semplicemente per mancanza di soldi). Sarà difficile per una coppia o per un gruppo di amici avere voglia di entrare in luoghi dove si va per il piacere di vivere insieme un’esperienza, e venire invece “distanziati”.
E in questo caso, l’esercizio cinematografico (con la possibile fruibilità diversa, domestica del film), potrà essere ancora più a rischio.
La seconda: le modalità di produzione e rappresentazione. Come si faranno le prove, come si collocherà l’orchestra e il coro (useranno le mascherine?).
La terza: le modalità di fruizione. Attuare il “distanziamento” non produrrà solo una diminuzione di pubblico per replica (oltre che una diminuzione in generale) e dunque un aumento dei costi produttivi, ma comporterà anche un necessario ripensamento globale dei luoghi ed una ristrutturazione degli immobili. Tutto questo dipenderà dal tipo di misure, come è ovvio, ma significherà tempo e denaro. Con un paradosso finale: meno pubblico e più costi.
E intanto cosa faranno attori e tecnici e i tanti giovani che si sono appena accostati a questo mondo e che vivono già ora in cattive condizioni di precariato?
Potrei continuare, ma credo che così già basti.
Io spero di essere completamente smentito in queste previsioni, ma basta che una sola di esse si realizzi, perché tutto il nostro settore – tutto il settore della produzione culturale di questo Paese – ne risenta fortemente.
Cosa si può fare?
Ci sono misure di cui si può discutere, approfondendo i vari aspetti, e queste le riserviamo per il dopo.
Ma ci sono anche misure immediate, senza le quali il teatro, lo spettacolo, la cultura muoiono.
Provo ad indicarne alcune:
- Immediata erogazione di tutto il FUS stanziato per il 2020, con totale moratoria dei parametri vigenti. Queste somme devono essere immediatamente destinate a tutti i soggetti dello spettacolo: serviranno per ripartire e, se del caso, per patrimonializzare e rendere i soggetti dello spettacolo più forti; serviranno a giocare con un anno di anticipo, sfuggendo finalmente alla morsa delle anticipazioni bancarie.
- Creazione di un fondo per l’erogazione a fondo perduto di somme per la ristrutturazione dei luoghi di spettacolo, in dipendenza delle nuove misure di sicurezza da attuare.
- Deduzione fiscale del costo del biglietto, così consentendo a tutti gli spettatori di portare in detrazione dalla propria dichiarazione dei redditi le spese per la cultura. Occorre incentivare il ritorno del pubblico (che il pubblico non vada via definitivamente) e questa è una modalità per evitarlo.
- Istituzione di un fondo di solidarietà per il precariato dello spettacolo. Individuazione dell’esatta dimensione del “precariato” del mondo dello spettacolo (attori, tecnici, etc.), estendendo ammortizzatori sociali o comunque meccanismi di solidarietà economica specifici a tutti coloro che, pur non avendo rapporti di lavoro “fissi” o contratti a tempo determinato più o meno lunghi, hanno operato e avrebbero operato in questo settore.
- Misure specifiche di sostegno per l’esercizio cinematografico, attraverso l’istituzione di un fondo di ristoro sulla base degli incassi del 2019.
Non sono misure impossibili, né particolarmente dispendiose. Sono, anzi, certo che, se le chiederemo, il Ministro, la politica sapranno valutarle.
Vorrei essere chiaro nell’esposizione di ciò che penso:
se pensiamo di uscire da questa crisi, di affrontare il dopo crisi lavorando su aggiustamenti dei numeri, delle percentuali, degli algoritmi, lo spettacolo in questo Paese è già finito.
Viviamo una crisi epocale, che non finirà con le attuali misure di quarantena, e che per noi – a differenza di altri settori produttivi – rischia di essere fatale.
Non possiamo affrontarla con le misure e i piccoli mezzi della vecchia quotidianità, ma con una visione radicalmente diversa.
Rischiamo, in parole povere, di non avere più pubblico, attori, tecnici: rischiamo di disperdere definitivamente una testimonianza fondamentale della cultura di questo Paese.
Rischiamo di realizzare un vero e proprio deserto culturale.
Cari amici,
sapete che in questi anni, pur avendo sempre avuto la responsabilità di istituzioni culturali, di teatri, ho sempre evitato occasioni pubbliche, assemblee, interventi.
Se ora vi scrivo per comunicarvi queste brevi (prime ed incomplete) riflessioni, è perché credo che la situazione sia veramente grave.
Vorrei sapere cosa ne pensate e, se mi sbaglio, mi farà piacere trarre conforto dalle vostre smentite.
Diceva Iosif Brodskij che in una vera tragedia chi muore non è l’eroe, ma il coro – cioè la polis, la società.
E’ questo il nostro rischio attuale.
Rendiamoci conto che abbiamo tutti una grande responsabilità, quella di continuare a far vivere la cultura in questo Paese.
Ora è il momento di riflettere insieme e di scegliere. Decidiamoci.
Vi chiedo scusa per queste parole e vi invio cari saluti ed auguri.
Oberdan Forlenza
Presidente Fondazione Teatro Due