IVANOV
di Anton Čechov
traduzione Danilo Macrì
traduzione Danilo Macrì
Nicolaj Ivanov Filippo Dini
Anna Petrovna Sara Bertelà
Conte šabel’skij Nicola Pannelli
Pavel Lebedev Gianluca Gobbi
Zinaida Savišna Orietta Notari
Saša Valeria Angelozzi
Dottore L’vov Ivan Zerbinati
Marfa Babakina Ilaria Falini
Michail Borkin Fulvio Pepe
Kosych Filippo Dini
Avdot’ja Nazarovna Sara Bertelà
Primo ospite Fulvio Pepe
Secondo ospite Nicola Pannelli
Gavrila Ivan Zerbinati
assistente alla regia Carlo Orlando
scene e costumi Laura Benzi
musiche Arturo Annecchino, Luca Annessi (assistente)
luci Pasquale Mari
regia Filippo Dini
produzione Fondazione Teatro Due, Teatro Stabile di Genova
Ivanov è la prima delle grandi opere teatrali di Anton Čechov, scritta nel 1887, all’età di 27 anni, essa racconta l’ultimo anno di vita di un uomo, che si trova a fare i conti con la propria incapacità di vivere, la sua inadeguatezza verso il mondo che lo circonda e la irrimediabile perdita di ogni speranza nei confronti della vita. La commedia è la sua lotta contro ognuna di queste forze, che lo ostacolano quotidianamente nei rapporti con i suoi amici, con i suoi nemici, con sua moglie. Essendo una commedia scritta in età giovanile, Ivanov possiede una portata dirompente di emotività e di erotismo che la rendono carica di un fascino irresistibile. La sua poetica si esprime a tinte forti e la violenza delle situazioni e dei rapporti esplode con brutalità, fino alla morte.
Il personaggio di Ivanov è da iscriversi in un filone di tanta letteratura russa dell’ottocento (dal Jevgheni Onieghin di Puškin in poi) in cui il protagonista è proprio l’uomo superfluo, come si autodefinisce Ivanov, che non riesce ad applicare le proprie energie alla vita e la cui originalità risiede proprio nella lotta per non soccombere al proprio destino.
Le sue aspirazioni intellettuali, unite al senso d’impotenza, fanno di lui un eroe negativo, incapace d’affrontare la crisi. Anna, sua moglie, per sposarlo ha abbandonato la propria famiglia e la religione ebraica, ma presto si ammala di tubercolosi. Saša, giovane figlia di facoltosi vicini, ama Ivanov, e dopo la morte di Anna tutto è pronto per le nuove nozze. Ivanov però avverte la propria inadeguatezza di fronte a questo amore e all’ultimo momento sfugge al nuovo impegno… Intorno a loro si muove un’umanità disillusa, priva di ideali e senza speranze nel futuro: un microcosmo in cui gli uomini sono condannati all’esistenza, in cui ognuno tenta disperatamente di sopravvivere alla noia interiore e guarda al passato con pietosa indulgenza, un’umanità di figure grottesche che si logorano a vicenda.
“Di Ivanov si è detto e scritto moltissimo – racconta il regista Filippo Dini – e si è insistito sull’incapacità del protagonista di gestire i rapporti sociali e sentimentali, sul suo male di vivere e la sua insoddisfazione patologica, in breve si è molto discusso della sua depressione. Tutto ciò credo ci abbia un po’ allontanato dalla comprensione della sua vera natura. Ivanov trascina tutti nel tunnel nero dell’inattività, della paralisi mentale e spirituale, tutti lottano contro di lui o tentano di guarirlo, fino all’estremo sacrificio. Egli è il virus letale della sua società, simbolo della malattia che si genera all’interno di quel ristretto gruppo di esseri umani che agiscono nella commedia. Ma Ivanov è al tempo stesso anche la cura del suo mondo, mettendo tutti di fronte ai propri limiti, alla propria povertà, dando ad ognuno l’occasione per la salvezza. Ogni personaggio si relaziona a lui secondo le proprie capacità o propensione; nessuno rimane estraneo a questo confronto”. E prosegue: “L’immortalità di questo testo e la sua bruciante contemporaneità risiedono nell’affascinante descrizione di un’umanità alla fine, una società sull’orlo del baratro, che avverte l’arrivo di un’apocalisse che di lì a poco spazzerà via il mondo conosciuto fino a quel momento: di lì a 30 anni, infatti, ci sarà la Rivoluzione, e anch’essa sarà causa o effetto di tante rivoluzioni in Europa. Attraverso la figura dell’uomo inutile, che non riesce a spingere il proprio cuore oltre la paralisi del proprio mondo, e la propria volontà oltre l’immobilismo, Ivanov racconta la crisi e il declino di un’intera società e di un’intera epoca. La fine di Ivanov, auto inflitta ovviamente, che arriva al termine della commedia, è la fine del nostro Ivanov, quello dentro di noi, che abbiamo visto scalpitare e soffrire e cercare di risollevarsi infinite volte; l’abbiamo visto credere in nuovo innamoramento e in una nuova speranza, la speranza di ritrovare l’energia per ricominciare a lavorare e insieme per combattere gli inetti, i volgari, i malfattori. Dobbiamo attendere con pazienza il suicidio del nostro Ivanov, non lo possiamo uccidere perché è imbattibile, dobbiamo aspettare che nella totale consapevolezza, ormai raggiunta alla fine della commedia, debba desiderare la propria morte, solo così potremo godere della rinascita, solo così potremo tornare alla vita, alla speranza e all’amore.”
Un giovane regista di inattese qualità, come Filippo Dini, toglie Ivanov dall’Olimpo dei testi inagibili in quanto considerati minori e, con una regia di notevole spessore, confortata da interpreti affiatati e intelligenti, dimostra che i classici del teatro non solo non sono morti. Ma fan parte di quella circolante biblioteca drammatica che qui regna sovrana.
Enrico Groppali, Il Giornale
Altro che noia! Altro che sentimento di nostalgia dolce e avvolgente! Dimenticate il Čechov di tanti allestimenti ad andamento lento, introspettivo, malinconico. Anche se una noia intensa pervade i protagonisti dell’”Ivanov”, sempre in attesa che succeda qualcosa, la versione di Filippo Dini, regista e anche protagonista, ingrana subito un ritmo veloce dal quale non esce più nei quattro atti della commedia, con tempi comici ben dosati e scoppi di gaiezza che non tolgono nulla anche al dramma che si consuma. (…) Lo spettacolo ha la sua carta vincente nella grande coralità e bravura di tutti gli attori messi in campo dal regista, costruita attraverso trame, gesti dettagliati, maniacalità e scarti d’umore, che ne delineano fortemente i caratteri.
Giuseppe di Stefano, Il Sole 24 ore
Schernito e disprezzato, amato e cercato: Ivanov è Filippo Dini, interprete e regista del dramma, la cui lettura attoriale e direzione si muovono con grande cura, con un apprezzabilissimo labor limae, sotto al quale è ben ravvisabile un profondo studio filosofico e psicologico del pezzo cecoviano, delle sue dinamiche, oltre a un grande desiderio di fare proprio questo testo, di modernizzarlo, di rinfrescarlo, di renderlo profondamente comprensibile, fruibile a livello universale.
Ivanov è, infatti, una sfida: una sfida teatrale audace, in cui sono rappresentate piccole lotte, individuali e fra personaggi, fra pensieri opposti e forze potenti, quali l’amore, l’odio, il desiderio e il calcolo.
Tutto è dinamico, tutto arriva con forza e chiarezza: dietro a questo spettacolo è evidente un lavoro di squadra profondo, un’affinità fra gli interpreti (e con il regista) davvero ammirevole.
Resta allo spettatore solo il compito di comprendere profondamente la forza di quel grigio tedio e di scegliere come affrontarlo ogni giorno, rallentando per un attimo il ritmo frenetico della vita e guardando il tutto con gli occhi di quel Cechov così lontano… e così vicino al contempo.
Clizia Riva, Concretamente Sassuolo