LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO
di Compagnia Carlo Colla & Figli
SPAZIO GRANDE
29 marzo
fiaba di Eugenio Monti Colla
musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij
scene e luci Franco Citterio
costumi Eugenio Monti Colla realizzati dalla sartoria dell’Associazione Grupporiani
marionettisti Franco Citterio, Maria Grazia Citterio, Piero Corbella, Camillo Cosulich, Debora Coviello, Carlo Decio, Cecilia Di Marco, Michela Mantegazza, Tiziano Marcolegio, Pietro Monti, Giovanni Schiavolin, Paolo Sette
voci recitanti Milena Albieri, Loredana Alfieri, Véronique Andrin, Marco Balbi, Roberto Carusi, Mariagrazia Citterio, Fabrizio De Giovanni, Lisa Mazzotti, Gianni Quillico, Franco Sangermano
direzione tecnica Tiziano Marcolegio ripresa da Franco Citterio e Giovanni Schiavolin
produzione ASSOCIAZIONE GRUPPORIANI – MILANO (Comune di Milano – Cultura – Teatro Convenzionato)
Perché La bella addormentata? Per voglia di fiabe, quelle dei libri e quelle che stanno dentro ciascuno di noi, là dove il tempo e lo spazio non esistono più, dove il Male e il Bene sono determinati e circoscritti, non fluttuanti ed imperscrutabili come nella vita reale. E dove ciò che trionfa sempre è soltanto l’armonia. Anche per voglia di celebrare visivamente un genere letterario nato per adulti e, poi, ingiustamente passato, nel tempo, al mondo dell’infanzia per un erroneo ed abusato convincimento che confonde il gusto del “narrare” con l’immaginifico del “narrato”. Uguale destino è stato riservato ad opere come “Pinocchio”, “Peter Pan”, “Alice nel paese delle meraviglie” e “Il Barone di Munchausen”, come se fantasia, metafora e simbolismi appartenessero solo al mondo dell’infanzia. Ma, tornando al genere fiaba, non va dimenticato che Perrault scrive per il mondo del Re Sole restituendo, insieme alla magnificenza, al fasto e alla bizzarrìa della vita quotidiana della Corte, a Parigi come a Versailles, eventi che avevano sconvolto la vita della Francia anche se opportunamente mascherati dalla sinteticità del racconto: matrigne e noverche che manipolano intrugli alchemici e liquidi mortiferi echeggiano lo scandalo dei veleni che vide come imputata la terribile Voisin ma coinvolse personaggi molto vicini al trono come la Signora di Montespan, favorita di Luigi XIV. Così feudatari tenebrosi e affascinanti uccidono mogli curiose e maldestre, accennando, inevitabilmente ai plurimi decessi di consorti di entrambi i sessi, avvenuti inspiegabilmente nelle grandi casate di Francia. Ma la narrazione fabulistica leggiadramente trasfigura ogni realtà umana trasportandola in più “spirabili aure”, stemperando ogni sofferenza ed ogni nefandezza in semplice e naturale connotazione interna al racconto, quasi un lento dipanarsi degli eventi verso una giusta conclusione, prima che, con guizzo improvviso, la “morale” cancelli ogni magico incanto per avvertire il lettore che la parabola fantasiosa è terminata e si torna a ragionar di noi. Sogno vagheggiato, arabesco leggiadro, soave intrecciarsi di danza lieve e garbata. Accanto alla voce di Perrault, un’altra si levava, dalle stesse sale dorate e fra gli stessi blasonati patrizi protagonisti della vita cortigiana, acuta, brillante ed altrettanto bizzarra: quella di Monsieur La Fontaine. Senza artificio o ricorso ai miti, egli spalancò gli occhi dei lettori sulla commedia umana denunciandone i vizi, i soprusi e le violenze. Interpreti d’eccezione gli animali. Stratagemma letterario per colpire il malcostume degli umani eludendo ingerenze censorie dei potenti e régie disapprovazioni.
Su queste imprescindibili connotazioni letterarie si inserisce la struttura teatrale della fiaba, sospesa in sconfinati luoghi aerei che nulla hanno di vero e di reale ma che eleggono, a determinarne l’atmosfera, simbolici animali (i leoni rampanti nella sala del trono di Florestano XIV, cigni dorati a sostenere rami e fronde nei reali giardini, bianche colombe alate a reggere pesanti azzurre cortine nell’alcova della bella dormiente). Due soli gli ambienti chiamati a restituire luoghi legati al mondo della natura: una terrazza edificata fra i colori e la curva dell’arcobaleno, ed il bosco, tempio consacrato al lungo sonno e all’amoroso risveglio. In questi ambienti si muovono i personaggi in bilico fra la narrazione fabulistica di Perrault (in una brillante traduzione di Collodi) e la struttura librettistica del balletto di Ciaikowskj da cui lo spettacolo attinge la parte musicale in una attenta antologia a cura di Luca Del Fra. Non lotta di elementi magici, ma contrasto fra il Caos e l’Armonia come poeticamente riassume l’introduzione musicale. Stizza, ira ed invidia (splendide posate generano rabbia quanto un mancato invito, elementi importanti per la vita di quella pomposa Corte di cui l’autore faceva parte!) sono alla fonte di una maledizione terribile che il dispiegarsi degli eventi trasforma in una lunga attesa a cui partecipano i mortali e le creature del sogno. Il castello che si addormenta altro non è che teatro nel teatro, proposizione fantastica del visivo in movimento che nessun libro di fiabe ha mai consegnato ad un lettore assetato di magìe, come il bosco che scaturisce rigoglioso a proteggere il mondo dei dormienti, belli e non. Alla misteriosa profezia che chiude lo spazio e ferma il tempo, si contrappone la filastrocca della Fata Armonia in cui rime e assonanze si susseguono teneramente quale affabulazione che incanta ed addormenta i piccoli Silfi, a ripetere l’eterno rito della figura materna che acquieta l’animo del bimbo con racconti fantastici a cavaliere fra lo spavento e l’incanto. L’arrivo del Principe Desiderio restituisce al fabulistico il sapore della vita cavalleresca: un blasone principesco da arricchire con una nuova avventura, una leggenda che suscita curiosità, fascino e subitaneo amore per la bella principessa vittima del maleficio, l’incontro con il Male ed i suoi sortilegi. Ma la vicenda si snoda verso l’immancabile lieto fine: sconfitte le creature evocate dalla perfida fata (volutamente più simili al “babau” che non a mostri spaventosi) il sentimento ora si sostituisce ad ogni eroica impresa; il bacio profetizzato, sublime gesto d’amore, risveglia la bella e gli abitanti del castello e appresta le nozze dei due giovani principi. A loro è luogo d’incanto il magico libro delle fiabe che si apre per accogliere i celebri personaggi simboli di paure, di trepidazioni, di trasalimenti e di identificazioni fantastiche, nel perenne susseguirsi delle generazioni.