Il teatro che non c’è più, il teatro che c’era, quello di Luca Ronconi, scomparso poco più di un anno fa e ricordato nella serata di lunedì 11 aprile a Teatro Due insieme alla professoressa Roberta Gandolfi, al Direttore di Fondazione Teatro Due Paola Donati, al regista Walter Le Moli, agli attori Sara Putigano e Raffaele Esposito e a Jacopo Quadri, regista del documentario La scuola d’estate. Luca Ronconi a Santacristina, proiettato dopo l’incontro.
Luca Ronconi, un maestro per l’Italia e per il mondo, che ha portato una visione nuova del teatro italiano, maestosa nel suo essere intima ed elegante, ma anche rigorosa e coraggiosa, come lui, che è cresciuto forte, con la voglia appassionata di sperimentare senza paura. Nasce attore, Ronconi, che si è formato all’Accademia Silvio D’Amico di Roma ma che ha seguito poi quasi subito la vocazione registica realizzando 215 spettacoli dal 1963 al 2015, di cui 109 di prosa e 86 di lirica accomunati dalla grandiosità con la quale il maestro stupiva e incantava. Oltre che regista, è stato un grande didatta, direttore della Scuola del Piccolo di Milano dal 1999 al 2015 ma anche fondatore del Centro Teatrale Santacristina, emblema della sua visione del teatro come “territorio in cui vivere”. Il teatro che non c’è più ha lasciato in realtà dei pilastri saldi, su cui costruire l’adesso, quella contemporaneità cara al maestro e che rappresenta “una complessa percezione del presente”; ecco, da qui ricomincia il teatro italiano, imparando e attingendo da quella visionarietà che l’ha reso unico, per cui l’hanno criticato ma che, come ha ricordato Raffaele Esposito durante l’incontro, ha arricchito tutti noi.
Ronconi ha cominciato a lavorare come regista negli anni Sessanta, un periodo di trasformazione artistico sì, ma anche civile e politico e che si è prestato alla sperimentazione anche in campo teatrale attraverso la contaminazione tra arti, così Ronconi ha iniziato il suo percorso immaginifico portando in scena spettacoli stupefacenti e imponenti dove le forme artistiche si incontravano in qualcosa di inesplorato. Ha lavorato su testi poetici, letterari, scientifici ed economici (tra gli altri, l’Orlando furioso di Ariosto nel 1969, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda nel 1996, I fratelli Karamazov di Dostoevskij nel 1998, Lolita sceneggiatura di Nabokov nel 2001). È entrato in spazi non teatrali, come nel caso dello spettacolo Infinities di Barrow, nel 2002, un altro esempio di rappresentazione di un testo scientifico, allestito nello Spazio Bovisa a Milano, oppure Gli Ultimi Giorni dell’Umanità di Karl Kraus del 1990, un progetto imponente con sessanta attori in scena, a recitare all’ex Lingotto di Torino, prima che i macchinari venissero dismessi. La grandiosità degli spettacoli di Ronconi nasceva dall’esigenza del maestro di spingere le istituzioni al limite della loro forza e delle capacità, non rapportandosi quindi solo con spazi teatrali, ma anche con i tessuti architettonici e le risorse urbane. Anche in questo frangente, la fantasia muoveva il suo agire. Quella fantasia che si trova tra la scienza e l’esperienza e che, come ha sottolineato Walter Le Moli, insieme a una conoscenza straordinaria ha permesso al maestro di creare una sorta di “iperrealtà”, un’ espansione del reale che facesse percepire il “vero”. Ronconi ci ha lasciato una visionarietà unica, una spinta verso quel modello teatrale che in Italia ancora manca. Il suo teatro esprime un’urgenza assoluta a creare quello che non c’è, perché come rimarcava lui stesso “a teatro si può fare tanto. E non per rompere con qualcosa, ma per estendere qualcosa. Mi piace pensare al teatro come a un organismo vivente, un pezzo di corpo che si rigenera di continuo (come le unghie o i capelli)”.
Insieme a Roberta Carlotto ha fondato il Centro Teatrale Santacristina, che rappresentava per lui la non contaminazione, la libertà, la possibilità di stare in una dimensione lontana da burocrazie in un tempo assoluto, dove i ritmi sono scanditi dal teatro. Lì, lui lavorava d’estate insieme a gruppi di giovani attori, insegnando tanto ma anche attingendo, in un flusso di saperi ininterrotto; ne è testimonianza il documentario girato da Quadri durante l’estate del 2013.
Il rapporto tra Teatro Due e Luca Ronconi era significativo; iniziato nel 1989 grazie allo spettacolo Strano Interludio, che ha avuto Teatro Due come unico palco italiano oltre a quello torinese, si è rafforzato grazie all’intenso legame artistico tra Ronconi e Walter Le Moli, che ha portato alla realizzazione di 11 spettacoli importanti: dal Progetto Domani creato in occasione delle Olimpiadi Invernali di Torino nel 2006 e che includeva cinque diverse rappresentazioni, alla trilogia realizzata al Teatro Greco di Siracusa nel 2002 (Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide e Le Rane di Aristofane), Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill nel 1997, Fahrenheit 451 di Bradbury nel 2007 e Peccato che fosse puttana di John Ford, portato in scena durante l’estate del 2003 in occasione di Teatro Festival Parma nello spazio affascinante del Teatro Farnese, che, come sua consuetudine, il maestro trasformò e ampliò. Esplodendo ancora una volta il reale.