Ci sono molti modi di navigare. C’è chi naviga in buone acque, chi in cattive, c’è chi naviga a vista, c’è chi naviga in internet. I Veneziani, per esempio, non permettevano alle navi straniere di veleggiare sul Canal Grande, e mettevano a disposizione le loro stesse navi pur di non vedere vele (e cannoni) di altri paesi puntare sulla Città che sorge dal Mare. E hanno anche inventato una tecnica di voga tutta loro. Navigano a modo loro.
Noi invece abbiamo navigato liberi, di bolina e di poppa. Abbiamo piantato sei boe intorno a cui girare e siamo andati così, a vista, a braccio, a vento.
Venezia è infatti non solo la patria di Carlo Goldoni, protagonista di Mappe in questo giovedì di città. Venezia è un modello, un mondo, una Storia, e noi l’abbiamo esplorata. Andando a guardare tra i sotoporteghi e le calli (sì, le t e le l hanno vita difficilissima a Venezia) e sbirciando nella vita e nella produzione del commediografo, infatti, si sono scoperti percorsi tortuosi ma utili, finestre spalancate e scorci imperdibili. Venezia si è rivelata, è emersa come dopo una giornata di acqua alta, per quello che è stata in tutti i secoli del suo predominio sull’Adriatico: una dominatrice esperta, amorevole e lasciva con chi è nel suo grembo e severissima con chiunque altro. La Serenissima, appunto, con un sorriso che ammalia e a volte uccide, sicuramente soddisfa.
Goldoni, forte della sua ispirazione quasi inesauribile e della sua conoscenza dei meccanismi (teatrali e non) che tengono su questo ingranaggio, usa Venezia e si fa usare: si mette al servizio di più di un teatro, ma mette al suo servizio l’umanità intera che passa di lì. E disvela caratteri, atteggiamenti, pose, vizi e costumi di una vera e propria metropoli. Non solo: trasforma la Commedia dell’Arte in una macchina teatrale scritta e permanente in cui la rappresentazione non è mai fine a se stessa, e moltiplica i livelli fino a quello della politica e dell’economia. Un tipo scaltro, questo Goldoni, che odora la fine della Repubblica di San Marco e la ritrae in tutte le sue fattezze, in tutte le sue rughe. E ne coglie la fiorente economia borghese, la spiccata sensibilità verso le arti, il volubile ammiccamento che essa riserva a chi la rende grande. Anche perché non è un caso che molti figli di Venezia siano stati innalzati alla gloria e poi dimenticati con la stessa velocità. Una matrona un po’ ingrata, se si pensa che sia Goldoni che Vivaldi, osannati all’inizio, furono poi quasi disconosciuti dalla grande Repubblica che tutto dà e tutto toglie. L’uno a Parigi, l’altro a Vienna, guarderanno indietro a una città, a un mondo, a un’epoca che è stata tripudio e Carnevale, ma che non li vuole più al suo servizio.
Perché in fondo Goldoni ha fatto un torto a Venezia: l’ha privata della sua maschera. Quello che ancora oggi vediamo nei suoi spettacoli (non da ultimo La Locandiera) è il ritratto di una città profondamente umana, profondamente reale, e proprio per questo piena di rughe, di pieghe, di piaghe. Non è una cosa facile da perdonare. La grandezza di Goldoni è la grandezza di Venezia, che lo si voglia o no. E guardando il teatro goldoniano vediamo il teatro della politica, dei mercanteggiamenti, degli equilibri di potere. Due secoli e mezzo dopo. Ne vale decisamente la pena.
Francesco Bianchi