Passando per i corridoi del teatro si sentono molti rumori e molti silenzi. Il rumore di corpi che si muovono, per esempio. Ma anche il fragore di un coro, le armonie di un pianoforte, la veemenza di un discorso, il silenzio della concentrazione.
Diciotto allievi, una sala, un pianoforte, un violoncello. Quaderni d’appunti, vestiti comodi, sudore, e tante idee. Il corso di alta formazione Casa degli Artisti lavora incessantemente su diverse creazioni, guidato da alcune delle personalità più importanti del teatro italiano. Si indaga il corpo, il canto, la voce, l’azione. Words and music, come direbbe qualcuno. Perché ad essere esplorato è il rapporto tra recitazione e canto, tra musica e azione scenica: aspetti che spesso vengono accantonati dalla tradizione italiana di “prosa”, e che invece trovano terreno fertile in questo laboratorio intensivo e prolungato. C’è fermento al Teatro Due. Ogni allievo viene chiamato ad andare oltre le sue conoscenze e a esplorare aspetti nuovi del suo lavoro: il recitar cantando per gli attori, la scrittura in versi (su musica) per i drammaturghi, l’orchestrazione originale per i musicisti.
Gli oggetti di lavoro affrontati in questo lungo studio sono tanti. E molto diversi fra loro. Si è iniziato con Beggar’s Opera, il capolavoro di teatro musicale scritto da John Gay all’inizio del millesettecento (e ripreso da Brecht per la sua Opera da tre soldi), che è stato esaminato dal punto di vista musicale con la direzione del Maestro Bruno De Franceschi e da quello scenico con la direzione di Caterina Vianello. Un’opera che è una critica del costume, un ritratto dei rapporti sociali, una riflessione sui generi teatrali. Ma che è anche e soprattutto un campo d’indagine insolito per la recitazione, rifiutando qualsiasi naturalismo e mettendo gli attori nella condizione di ripensare le tecniche e gli approcci all’arte scenica. Il tutto “a tempo di musica”: la riscrittura delle arie, l’orchestrazione delle partiture, la sincronizzazione della recitazione al canto. Attori, drammaturghi, musicisti che lavorano in sincrono per una creazione inconsueta, divertentissima e cinica, tecnicamente ardita e musicalmente complessa, al tempo stesso cólta e pop.
Ma questa è solo una parte del lavoro. Sotto la direzione di Elisabetta Pozzi e con la collaborazione di Daniele D’Angelo il gruppo di lavoro ha preso in mano Alcesti di Euripide, lavorando sulla drammaturgia, sulla creazione di musiche originali e soprattutto esplorando le possibilità espressive degli attori in relazione a questo testo controverso, profondo e ironico. Ma non c’è tempo per il riposo delle membra: Michela Lucenti negli stessi giorni sta coinvolgendo gli allievi in una classe che si occupa dell’indagine sul corpo e sulla danza, ma soprattutto sulle fondamenta dell’azione scenica in quanto oggetto e impulso. Ecco allora che Teatro Due è un cantiere aperto, che impegna e occupa gli ambienti e le strutture e le vive, le fa respirare. E che indica il lavoro febbrile che, ancora a porte chiuse ma per poco, rappresenta un teatro vivo e in continua produzione. Chi si ferma è perduto.
Francesco Bianchi