NADIA
di Daniël Van Klaveren
con Eleonora Pace, Maria Laura Palmeri
e con Gian Marco Pellecchia, Francesca Tripaldi, Giulia Pizzimenti
video Lucrezia Le Moli
regia Giacomo Giuntini
produzione Fondazione Teatro Due
Nadia, il nuovo progetto in collaborazione con ETC – European Theatre Convention, prevede il coinvolgimento di cinque teatri di cinque diversi paesi nell’intento di esplorare le ragioni della radicalizzazione dei giovani nelle società occidentali e dell’attrazione nei confronti del Califfato. Al giovane drammaturgo olandese Daniël van Klaveren è stato commissionato il classroom play Nadia, il testo intorno a cui ruota l’intero progetto. Sulla base di uno scambio regolare con l’autore (anche regista della versione olandese) durante la fase di progettazione e composizione, gli altri quattro registi Esther Jurkiewicz, Giacomo Giuntini, Peer Perez Øian e Isabelle Gyselinx hanno collaborato attivamente alle varie fasi di scrittura.
Un’esperienza interessante. Così è stata definita la partecipazione alle attività di addestramento dell’IS dal 20% degli intervistati in un sondaggio realizzato qualche tempo fa in Italia. Il proselitismo è in costante crescita, soprattutto nel mondo femminile, come confermato di recente dal rapporto della Commissione di studio su fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista istituita dal governo italiano lo scorso settembre. Distanziamoci, però, dalla cronaca, perché “il fatto è sempre stupido”, e cerchiamo di allargare il nostro orizzonte di riflessione: la vicenda di Nadia può aiutarci ad accendere una luce su un fenomeno nascosto, latente, che sembra sull’orlo di esplodere, ma al tempo stesso ci offre l’opportunità di guardarci allo specchio, di affrontare i pilastri che dovrebbero concorrere alla costruzione della nostra identità di cittadini della malconcia, mutilata, vilipesa Unione Europea. La centralità della dignità dell’individuo, la costruzione della propria identità, la necessità dell’integrazione all’interno della società, sono aspetti vissuti da Nadia con l’irrequietezza del Wanderer romantico. Tutto è messo in discussione: le serate nel week end, il rapporto con i genitori, il suo essere una giovane donna, l’amicizia con Anna, sua compagna di scuola e blogger appassionata. Nadia e Anna sono in cerca, e non solo perché sono giovani (abusata parola): sono figlie della cultura “post”, in cui tutti noi sembriamo volerci autoaffermare in relazione al fatto di venire “dopo” (post-moderno, post-mediale, post-organico, post-ideologico…), senza definire come questo “dopo” debba connotarsi.
Il testo non fornisce risposte; noi vogliamo instillare domande: perché scappiamo? È l’ennesimo sintomo del tramonto dell’Occidente? Accettiamo di porci solo nell’ottica del consumo invece di porci come faro, come guida delle società? Siamo più conformisti nel ritenere dignitoso per una donna ostendere il proprio corpo in libertà o velarlo e sottrarlo alla vista e all’immaginario? La libertà sessuale ci ha resi schiavi del corpo e della sua rappresentazione? Siamo noi ad aver radicalizzato le nostre posizioni o siamo vittime della radicalizzazione di un conflitto che non ci riguarda?