Tende alle porte, scialli sulla testa, drappi sulle pareti. Il nero come colore dominante. Il colore del lutto, ma anche il colore della notte, del rito, della tradizione. In sala Bignardi c’è musica martellante e silenzio, racconto ed evocazione. Si prova a tempo di tamburo. Quello che si sta esplorando è un testo, Alcesti di Euripide, che è antico e modernissimo. Conserva infatti molti tratti del mondo da cui proviene, un mondo in cui la morte dialoga con la vita e si inserisce tra le maglie delle relazioni umane. Ma ci parla anche come se fosse un testo scritto oggi, come se il rapporto tra marito e moglie, tra padre e figlio fossero stati visti nelle nostre case e sulle nostre strade, come se il difficile rapporto con chi non c’è più non sia mai stato risolto fino in fondo. Forse non lo sarà mai.
Antico e moderno è anche il lavoro che Elisabetta Pozzi, con la collaborazione di Daniele D’Angelo, sta portando avanti insieme agli allievi del Corso di Alta Formazione Casa degli Artisti. Un lavoro che spazia dall’interpretazione alla drammaturgia e alla musica. Si sentono battiti, tamburi, cori di voci ancestrali, mentre il testo viene indagato conoscendo a fondo i personaggi e il mondo da cui provengono. Un testo insolito, con il suo finale totalmente aperto e indecifrabile, che viene esplorato nella sua totalità, e viene approfondito con inserzioni di scrittura originale. La ricerca va dalla grecità, con tutti i suoi miti e i suoi rapporti di potere, fino all’antropologia sull’Italia meridionale, sulle tarantolate, su un mondo fatto di evocazione e di rituali danzanti. Anche la dimensione corale, così caratteristica del teatro greco, è campo d’indagine: sul coro si fa un vero e proprio atto di composizione, mescolando suono e canto, strumenti musicali di tutto il mondo ed echi della musica popolare del sud Italia. In questo modo anche la parola scenica assume una valenza più ampia, e serve non solo a comunicare ma anche ad amplificare il suono, ad evocare un’atmosfera, a trasmettere un’emozione.
Da tutti questi elementi scaturisce una vicenda tra le più antiche e controverse della mitologia: Admeto deve morire, ma gli viene fatto il dono di vivere a patto che lui convinca qualcuno a morire al posto suo. Tutti si rifiutano, compreso il vecchio padre, solo la moglie Alcesti accetta di scrificarsi. Viene indagata la tematica del lutto, del rapporto con l’ineluttabilità, ma anche l’attaccamento alla vita e il suo significato attraverso l’amore e la fedeltà. Anche l’ingresso di un inconsapevole Deus ex Machina, il possente Eracle, propone uno scioglimento insolito, tanto che l’ultima scena si chiude senza dare risposte. Questo il materiale che il gruppo sta lavorando, per arrivare a uno sguardo lucido, moderno e originale su un testo inconsueto e poco rappresentato. Questa anche la dimostrazione che il teatro, anche se ci arriva da tanti secoli di distanza, è vivissimo e chiama in causa tanto ciò che è universale e altissimo, quanto ciò che è sotto i nostri occhi tutti i giorni. Perché in una sala drappeggiata di nero c’è tanta, tantissima vita.