TEMPO DI SECONDA MANO
di Svetlana Aleksievič
drammaturgia Florian Borchmeyer
SPAZIO GRANDE
dal 25 marzo al 2 aprile
Prima nazionale
con Roberto Abbati, Cristina Cattellani, Paola De Crescenzo,
Mariachiara Falcone, Massimiliano Sbarsi, Serena Mazzei,
Bruna Rossi, Imma Villa, Pavel Zelinskiy
e con Bianca Maria Cavalca
scene Roberto Crea
costumi Daniela Ciancio
luci Pasquale Mari
musiche Paolo Coletta
aiuto regia Aniello Mallardo
regia Carlo Cerciello
produzione Fondazione Teatro Due
La storia è interessata solo ai fatti, e le emozioni ne restano escluse. Non hanno accesso alla grande storia. Io invece guardo il mondo non con gli occhi dello storico ma di chi cerca anzitutto l’uomo e non finisce mai di lasciarsene stupire… Raccolgo manifesti dell’animo umano, dove la sofferenza trasforma piccole persone qualsiasi in grandi personaggi.
Svetlana Aleksievič, giornalista e scrittrice ucraina, premio Nobel 2015 per la Letteratura, dedica un denso reportage al radicale sconvolgimento sociale vissuto da chi è nato in Unione Sovietica ma vive in Russia. Tempo di seconda mano è un monumentale dramma corale che tratteggia la tragedia collettiva legata al crollo dell’Unione Sovietica, un dialogo con diverse generazioni di uomini e donne. Un affresco impressionante e toccante della storia del secolo scorso e di quello appena iniziato, in bilico fra utopia e disincanto, speranza e resistenza.
Il “tempo di seconda mano” è il tempo di idee e parole usate, usurate, il tempo in cui vivono i protagonisti cui Aleksievič dà voce, testimoni partecipi della fine dell’ “uomo rosso” che attraversano la nuova vita in Russia dopo il crollo del Comunismo. Una polifonica fine delle illusioni che segue le tracce intime, interiori, “domestiche” lasciate lungo i venti anni che hanno segnato il crollo dell’URSS fino alla rielezione di Vladimir Putin per il terzo mandato presidenziale.
L’adattamento di Florian Borchmeyer, dramaturg della Schaubühne di Berlino, distilla l’essenza del testo e ne potenzia la polifonia intrecciando monologhi, dialoghi e voci corali che si articolano tra racconto ed evocazione.
Apocalisse come rivelazione e catastrofe. Stagnazione, glaciazione, gelo, disgelo. Il gelo realistico e metafisico, il ghiaccio. Sotto il ghiaccio è ibernata la storia di un popolo. Il tempo stesso, che è un tempo fermo, un tempo usato, logoro, di seconda mano, senza vere prospettive future, è un tempo congelato. Precarietà, tensione. Sul ghiaccio si scivola e la lastra può rompersi da un momento all’altro. Museificazione, eternità. Ibernando l’icona crollata del comunismo è come se si rendesse museificato e al tempo stesso eterno, l’ideale comunista. Anestetizzazione. Il ghiaccio viene utilizzato anche per attutire il dolore, il ghiaccio nasconde l’orrore. Una visione bianca. Il bianco è freddo, è gelo, ma al tempo stesso è candore, ingenuità. Il bianco su bianco, scarnifica un’umanità di fantasmi, “umanità di vagabondi in cerca di cibo, nella pattumiera della storia.
NOTA L’utilizzo delle maschere da coniglio non è estetico, ma suggerito dal testo.
Carlo Cerciello