Spari, buio, urla. Esecuzioni capitali in un teatro. Esiste qualcosa di peggio? Nel momento in cui il luogo che celebra la vita viene trasformato in un mattatoio, molte cose perdono il proprio senso. Contare i cadaveri è un compito innaturale, disumano. Farlo sotto casa, poi, sembra ancora più sbagliato.
Esiste il cordoglio, il dolore, esiste l’incredulità che è più difficile da smacchiare di quel sangue che non ci lascia più dormire e ci trasforma in un popolo pallido, impaurito, perennemente affetto da tachicardia.
Esiste la voglia immediata, immunitaria, di fare qualcosa, di aiutare, di piangere insieme. Di dire qualcosa, qualsiasi cosa si pensi, anche se non si pensa. Di prendere parte a una tragedia che vedere non ci basta perché sembra quasi troppo lontana, perché vogliamo essere più vicini e soffrire insieme. Neuroni specchio, forse.
Esiste la necessità di non cedere, di farsi vedere vivi e attraverso questo di onorare i morti. Necessità che si trasforma nell’azione frettolosa e tragica che, forse, non cambierà le cose. Il sangue chiama sempre sangue.
Esiste l’errata interpretazione degli eventi, pericolosissima. Essa è figlia della più subdola delle creature, l’ignoranza, e sorella della più violenta e sconsiderata, la paura. Esiste il contagio di una visione malata che vede nemici dappertutto, che ha prodotto massacri, e che rischia oggi più di sempre di esplodere facendo più cadaveri di una bomba.
Esiste la reazione al moto degli eventi, in un tentativo di rimanere al passo con la ruota della Storia. I “grandi del mondo” si riuniscono, Anonymous combatte sul fronte informatico, strategicamente fondamentale.
Esistono tutte queste cose.
Esistiamo anche noi.
L’effetto domino che si propaga investe tutto e tutti. Compresa la cultura e chi combatte quotidianamente per essa. I bersagli di questo attacco sono stati luoghi di svago, uno svago occidentale, uno svago benestante. Sulla quale si potrebbe discutere, anzi se ne sarebbe dovuto discutere, se i tempi non avessero subito questa accelerazione. Purtroppo non è questo il caso.
Nella catena di reazioni nate da questo big bang, le domande sono tante, ma la più urgente è anche la più sfuggente: che cosa ne è del nostro modo di vivere? C’è qualcosa che possiamo fare? La chiave è cambiare o restare fermi?
Probabilmente dare risposte a caldo è un errore grave, e lo è soprattutto per chi, come noi, lavora ogni giorno per porre nuove domande, per esplorare, discutere, analizzare, suggestionare, emozionare.
Il teatro ha un cuore che continua a battere e a pompare vita nella società, e deve continuare ad esserlo. Noi manifestiamo la nostra solidarietà alle persone, alla vita, alla creazione. Noi manifestiamo la nostra vita, la vita di tutti, contro qualsiasi tentativo di distruzione. Non sappiamo se in questo risieda la chiave, ciò che sappiamo è che dobbiamo affermarci per quello che facciamo e dobbiamo farlo nel modo migliore possibile. Noi facciamo la nostra parte essendo quello che siamo nati per essere: aggregazione, fucina di pensiero, luogo di confronto e riflessione. E continueremo a farlo.
Noi esistiamo.