WIT
di Margaret Edson
traduzione Valentina Martino Ghiglia
SPAZIO MINIMO
1 / 17 aprile
con (in o. a.) Dario Aita, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Salvo Pappalardo, Massimiliano Sbarsi
musiche Alessandro Nidi
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
a cura di Paola Donati
produzione Fondazione Teatro Due
Verso Wit
Ho scritto Wit quando avevo trent’anni. Volevo che la professoressa Vivian Bearing fosse molto vecchia, così l’ho fatta cinquantenne. Adesso ho 62 anni. E lei mi sembra giovane, ancora incompiuta. Forse è proprio questo il punto della commedia.
Wit è ambientato in un ospedale perché una volta ci lavoravo. I piccoli dettagli della vita di corsia, come la scomparsa della sedia a rotelle della professoressa Bearing, sono tratti da quell’esperienza.
Wit riguarda le abitudini e le strategie di una studiosa perché io sono stata formata per esserlo. I piccoli dettagli della vita accademica, come l’ossessione per la punteggiatura, derivano da quell’esperienza.
Ma il testo parla della grazia. Da dove viene? Come diventiamo noi stessi? Cosa rischieremo e a cosa rinunceremo? Le vecchie, facili verità non servono più; quelle nuove, destabilizzanti, cosa creeranno in noi? La professoressa Bearing ha tutte le risposte, fino a un certo punto. Ha così tanto da imparare… ed è così riluttante, così chiusa. Come supererà questa esperienza? Da sola?
Voi, lettori di questo programma, il nostro pubblico, siete gli amici più cari di Vivian. Se sarete disposti a rimanere al suo fianco finché non sarà compiuta.
A nome del Teatro Due, e di cuore, vi ringrazio.
Margaret Edson
Wit. “Arguzia”. Un approccio ironico alla realtà e un’originale connessione tra elementi antitetici. È la disposizione d’animo di Vivian Bearing, protagonista del testo, che adotta una lente originale per osservare la realtà e affrontare la sua battaglia contro il cancro: “Io so tutto sulla vita e la morte. Dopotutto sono una studiosa dei Sonetti Sacri di John Donne.”
Con il meccanismo del teatro si indaga la lotta contro la malattia, il sistema ospedaliero, l’umanità dei medici e il loro rapporto con il corpo dei pazienti, ma anche il ruolo della poesia, della religione e della ricerca, combinando con intensità elementi apparentemente incongrui fra loro come i componimenti poetici di John Donne e la storia di una malattia oncologica. “E morte non sarà più, virgola, Morte tu morrai… Nient’altro che un respiro, una virgola, separa la vita terrena da quella immortale”. La drammaturgia di Margaret Edson genera un impianto dove il presente della malattia e la riflessione poetica s’integrano nella spietatezza del reale, senza soluzione di continuità, come i versi di John Donne sembrano suggerire.
Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1999, Wit è un promemoria per tutti i medici e per tutti i pazienti, che problematizza il ruolo della medicina come disciplina complessa e il rapporto fra il calore dell’empatia umana con il rigore di dati scientifici e di fatti empirici.
Wit: titolo che indica parola sulfurea e mercuriale insieme, ironia dolorosa. Wit, parola che va al cervello e al cuore, e segna il registro di questa pièce impeccabile, dove il dolore estremo e l’estremo sogno umano, vivere anche dopo la morte – certezza non sogno per molti, da Platone a Dante – convivono stridendo, agonicamente. Il cancro sta uccidendo Vivian, e lei ne è consapevole, ma la poesia di John Donne, di cui è studiosa e amante, stride con la sua agonia: in John Donne non troviamo il paradiso che verrà, e, mai, la terra di oggi vissuta come inferno, ma una compresenza di dolore passione d’amore da cui nasce il superamento della morte. Nella pièce scritta benissimo da Margaret Edson e recitata impeccabilmente dagli attori la speranza è messa alla prova, ma non sconfitta. John Donne, il grande poeta metafisico, svela nei suoi versi che la morte esiste, ma può essere attraversata. Non elusa: da qui il nostro dolore. Ma attraversata, da qui nascono poesia e teatro.
Roberto Mussapi (Avvenire, 26.04.2024)